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Foto da Unsplash

Il videogioco e l'arte del fallimento

6 marzo 2024
Nel 2013 il teorico danese Jesper Juul inaugurò la collana Playful Thinking della casa editrice statunitense The MIT Press con un saggio intitolato The Art of Failure. An essay on the Pain of Playing Video Games in cui definiva i video games come “l’arte del fallimento.” Nel suo testo l’autore sostiene che l’esperienza del giocatore sia fatta soprattutto di insuccessi: la maggior parte delle partite finisce con il personaggio che cade in un dirupo, oppure smitragliato in una sparatoria o ancora esploso con la propria automobile, per poi resuscitare e morire ancora e ancora. Tali fallimenti non sono fine a se stessi: secondo Juul sono spiacevoli e preferibilmente evitabili, ma comunque necessari al raggiungimento della vittoria finale in cui finalmente il giocatore completa il livello o la missione. Gioco e videogioco sono spazi sicuri, e socialmente accettati, in cui è possibile sperimentare, fallire e imparare dall’errore in un modo del tutto inedito rispetto a ciò che avviene nella vita quotidiana. Il piacere del fallimento videoludico risiede per Juul nella promessa del suo superamento.
Bloodborne (FromSoftware, Sony Computer Entertainment, 2015)
Nei saggi poi rielaborati e raccolti in Video Games Have Always Been Queer (NYU Press, 2019), Bonnie Ruberg ha lavorato sugli spunti di Juul unendoli a quelli di Jack Halberstam (L’arte queer del fallimento, Minimum Fax, 2022). In una società che identifica il successo col rispetto di regole specifiche e di specifiche tappe di vita, il fallimento è queer. Dove queer è inteso non solo in termini di orientamento sessuale e di identità di genere, ma in senso più ampio come tutto ciò che sfugge alla “retta via” di una cultura ciseteronormativa e capitalista che accetta solo ciò che è produttivo e riproduttivo. Queer è ciò che devia ed erra e facendolo, dice Halberstram, suggerisce modi alternativi di vivere. E se il videogioco è l’arte del fallimento, e il fallimento è queer, allora il videogioco, scrive Ruberg, “potrebbe esso stesso essere visto come fondamentalmente queer.” Ci sarebbe insomma un piacere, un piacere queer, nel fallimento videoludico, nell’avere finalmente occasione di sperimentare in libertà ciò che socialmente è sconsigliato o impedito fare e nella possibilità di rifiutare persino le regole del gioco stesso per affrontarlo in modi considerati sbagliati.

Se il videogioco è l’arte del fallimento, e il fallimento è queer, allora il videogioco, scrive Ruberg, “potrebbe esso stesso essere visto come fondamentalmente queer.”
Un intero genere di giochi, i cosiddetti silly games, sono incentrati sul piacere del fallimento. Come spiega C Thi Nguyen in Games. Agency as Art (Giocare è un’arte. Il gioco come tecnologia trasformativa, add editore, 2023) questi giochi, di cui fa parte anche il celebre Twister, vanno giocati con l’obiettivo di vincere ed eppure sono ricordati per gli spettacolari fallimenti con cui terminano e che diventano ancora più memorabili proprio per l’impegno con cui si ha giocato.
BloodbornePSX (LWMedia, 2022)
Dark Souls Remastered (QLOC, FromSoftware, Bandai Namco Entertainment, 2018)
Il fallimento ha un importante ruolo anche nella produzione video contemporanea. Video di epic fail (fallimenti tanto disastrosi da poter essere considerati “epici”) sono tra i contenuti più apprezzati su piattaforme di condivisione video come YouTube e TikTok e fanno parte, insieme alle classiche candid camera e a certi momenti di reality tv a talent show, di quello che Sarah Booker e Brad Waite hanno chiamato humilitainment. Il piacere di guardare il video di una persona che, finita la lacca per capelli, decide di sostituirla con una potentissima colla spray (è il caso di Tessica Brown, nota come Gorilla Glue Girl) potrebbe essere visto come un esempio di Schadenfreude, il piacere provocato dalla sfortuna altrui. Ma riprendendo il discorso fatto finora sui videogiochi, si potrebbe pensare che il successo di questi video sia invece legato alla possibilità di sperimentare il fallimento, con accezione queer, seppur in forma delegata.
Elden Ring (FromSoftware, Bandai Namco Entertainment, 2022)
Il concetto di “interpassività” è stato proposto per la prima volta nel 1996 dal filosofo austriaco Robert Pfaller (i suoi saggi sono raccolti in Interpassivity: The Aesthetic of Delegated Enjoyment, Edinburgh University Press, 2017) e sviluppato anche dal filosofo sloveno Slavoj Žižek. Nonostante siamo ormai abituati all’idea di delegare un qualche genere di lavoro, non è altrettanto consapevole che ciò che tende invece a delegare maggiormente è un sentimento, di godimento, il piacere. Un esempio classico lo fa Jacques Lacan nei suoi seminari parigini (Il seminario. Libro VII. L'etica della psicoanalisi 1959-1960, Einaudi, 2008): nella tragedia greca il coro ha il compito di soffrire e temere al posto degli spettatori. Žižek (L'oggetto sublime dell'ideologia, Ponte alle Grazie, 2014) mostra come il fenomeno esista anche nello spettacolo contemporaneo: le risate finte delle sitcom ridono al posto nostro. La sitcom fa tutto da sola, sostituisce pure il godimento del pubblico. È interpassiva, nel senso che il suo consumo passivo (non produttivo) è stato delegato, in questo caso all’oggetto stesso che si sta consumando, al contrario di ciò che accade con l’arte interattiva che invece delega al pubblico parte del processo attivo e produttivo. E questo godimento passivo delegato è a sua volta uno specifico piacere, non inferiore a quello legato all’interattività. Come il piacere della fruizione passiva non è inferiore a quello della fruizione attiva, e anche in queste gerarchie si nota un certo pregiudizio patriarcale e ciseteronormativo. Visti così, i video di epic fail sarebbero una modalità interpassiva di godere del piacere del fallimento.
DarkSouls 3 (FromSoftware, Bandai Namco Entertainment, 2016)
Dark Souls Prepare to Die Edition (FromSoftware, Namco Bandai Games, 2012)
I videogiochi, con la loro infinita sequenza di fallimenti, offrono una grande quantità di contenuti a questi video, pubblicati direttamente dalle persone responsabili degli insuccessi e organizzati e condivisi in compilation curate. Chi gioca e mette online le proprie partite in questi formati e come video di Let’s Play (partite registrate e solitamente commentate e distribuite in formato episodico), ma anche chi gioca in diretta su piattaforme di live-streaming come Twitch, non offre esclusivamente la possibilità di (non) giocare attraverso il giocare altrui. Chi crea tali opere diventa anche il coro di una tragicommedia videoludica che mette in scena il fallimento e attraverso la quale il pubblico gode segretamente del fallimento.